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Reintegrazione nel posto di lavoro: l’intervento della Consulta sull’art. 18 Statuto Lavoratori

L’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300 del 20 maggio 1970) è tornato recentemente alla ribalta grazie ad una pronuncia della Corte Costituzionale che, con sentenza 24 febbraio-1°aprile 2021 n. 59, se ne è occupata quanto all’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo accertato come inesistente.

Premesso che l’art. 18 ha un’operatività ormai limitata ai rapporti di lavoro instaurati prima del 7 marzo 2015 (mentre per quelli successivi a tale data vige la disciplina del contratto a tutele crescenti portata dal decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 23), la Corte Costituzionale ha risolto un dilemma interpretativo che interessava la norma nella parte in cui ammetteva e tollerava un trattamento differenziato e quindi discriminatorio tra l’ipotesi del licenziamento per inadempimento del lavoratore (detto per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo a seconda della gravità, più o meno intensa, della violazione) e il caso del licenziamento economico anche detto per giustificato motivo oggettivo (vale a dire fondato su esigenze di riorganizzazione dell’attività d’impresa) allorquando emerga l’insussistenza di tali fatti giustificativi e quindi la pretestuosità, ossia l’arbitrarietà del licenziamento stesso.

A fronte di licenziamenti intimati per asserite inadempienze del lavoratore, il legislatore ha previsto la reintegrazione del lavoratore senza margini di discrezionalità, quando si accerti l’insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento.

In tema invece di licenziamenti economici, cioè motivati da scelte tecniche e organizzative dell’imprenditore, la reintegrazione del lavoratore è sì contemplata dalla norma, ma come rimedio meramente facoltativo, per giunta attivabile solo in presenza di un fatto ritenuto manifestatamente insussistente.

Proprio in questa diversificazione di tutela, obbligatoria in un caso e facoltativa nell’altro, sta la nota stridente che entra in conflitto con il principio di eguaglianza di cui all’ art. 3 Costituzione e introduce una crepa di disarmonia e irragionevolezza nel sistema.

Ecco allora il principio fissato dalla Corte come correttivo volto a ripristinare l’equilibrio di tale assetto normativo: quale che sia la caratterizzazione che il datore di lavoro dà alla motivazione del licenziamento (giusta causa/giustificato motivo soggettivo oppure giustificato motivo oggettivo), se il fatto addotto dal datore di lavoro non sussiste, le fattispecie sono parificate dallo stesso minimo comun denominatore e pertanto il regime di protezione del lavoratore deve presentarsi omogeneo e uniforme, avendosi altrimenti una discriminazione ingiustificata ed irragionevole tra situazioni nella sostanza equivalenti.

Vale a dire: nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo che sia risultato manifestamente inesistente, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione e pertanto il Giudice “applica” (anziché, come recita la norma nella parte censurata dalla Corte, “può” applicare) la disciplina già prevista per l’analogo caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo ritenuto insussistente, e quindi riassegna il dipendente al suo posto di lavoro.